Gaetano Bresci nacque il 10 novembre 1869 a Coiano, frazione
di Prato, in una famiglia piccoli contadini. Nel 1896 emigrò negli U.S.A a causa delle sue idee anarchiche che lo avevano messo nei guai con il potere.
E' negli U.S.A che riceve la terribile notizia dei gravi fatti che stavano avvenendo nella sua amata Italia, precisamente a Milano.
Correva l'anno 1898 quando i cannoni del generale Bava-Beccaris, su ordine del re Umberto primo, spararono sulla folla popolare, causando la morte violenta di 80 persone e ferendone 450...
Gaetano Bresci, spinto da un forte sentimento di vendetta, decise di rientrare in Italia per uccidere re Umberto.
La sera di un afoso 29 luglio del 1900, Gaetano Bresci si recò a Monza e uccise re Umberto primo di Savoia con 3 colpi di pistola, mentre questo stava rientrando in carrozza nella sua residenza monzese, l'assassinio avvenne sotto gli occhi di una grande folla che stava salutando il monarca.
La polizia catturò la stessa sera Bresci che non oppose la minima resistenza, appena un mese dopo era già pronto il processo che affrontò senza pentimento alcuno.
Il testo del suo interrogatorio
Presidente: «L’imputato ha qualcosa da aggiungere alla sua
deposizione testé letta?»
Bresci: «Il fatto l’ho compiuto da me, senza
complici. Il pensiero mi venne vedendo tante miserie e tanti perseguitati.
Bisogna andare all’estero per vedere come sono considerati gli italiani! Ci
hanno soprannominati “maiali“... »
Presidente: «Non divaghi...» Bresci: «Se non
mi fa parlare mi siedo.» Presidente: «Resti nel tema.»
Bresci: «Ebbene, dirò
che la condanna mi lascia indifferente, che non mi interessa punto e che sono
certo di non essermi sbagliato a fare ciò che ho fatto. Non intendo neppure
presentare ricorso. Io mi appello soltanto alla prossima rivoluzione
proletaria.»
Presidente: «Ammettete di avere ucciso il re?»
Bresci: «Non
ammazzai Umberto; ammazzai il Re, ammazzai un principio! E non dite delitto ma
fatto!»
Presidente: «Perché lo avete fatto?»
Bresci: «Dopo lo stato d’assedio
di Sicilia e Milano illegalmente stabiliti con decreto reale io decisi di
uccidere il re per vendicare le vittime.»
Quando il Presidente gli chiese
perché aveva compiuto quel gesto, Bresci rispose: «I fatti di Milano, dove si
adoperò il cannone, mi fecero piangere e pensai alla vendetta. Pensai al re
perché oltre a firmare i decreti premiava gli scellerati che avevano compiuto le
stragi.»
Ascoltati i testimoni, i giurati si ritirarono per decidere e dopo
pochi minuti il capo giuria ragionier Carione lesse il verdetto che dichiarava
l’imputato colpevole e lo condannava ai lavori forzati.
Scontò la pena nel
penitenziario di S. Stefano, presso Ventotene (Isole Ponziane) e per poterlo
controllare a vista venne edificata per lui una speciale cella di tre metri per
tre, priva di suppellettili.
Morì il 22 maggio 1901 "suicidato" dallo
Stato e probabilmente venne ucciso anche prima di questa data ufficiale.
Le
autorità divulgarono la notizia del suo suicidio: impiccato per mezzo di un
lenzuolo o un asciugamani.
Alcune coincidenze: un carcerato di Santo Stefano
condannato all'ergastolo ottenne la grazia, il direttore raddoppiò il suo stipendio.
Vi è incertezza anche sul luogo della sua sepoltura: secondo alcune fonti, fu
seppellito assieme ai suoi effetti personali nel cimitero di S. Stefano;
secondo altre, il suo corpo venne gettato in mare. Le sole cose rimaste di lui
sono il suo cappello da ergastolano (andato distrutto durante una rivolta di
carcerati nel dopoguerra) e la rivoltella con cui compì il regicidio.
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