Articolo di Francesco Mazzuoli:
Quando, per chi lo ricorda, uscì sugli schermi del nostro sventurato Paese 1997: fuga da New York di John Carpenter, regista di horror e fantascienza a basso costo con al suo attivo alcuni titoli preveggenti, (oltre a quello testé citato, l'inquietante Essi vivono), le immagini di quella pellicola ci sembravano fantasie lontane, fantascienza appunto.
Oggi, dopo decenni di sonno comatoso, anche l'italiano medio – quello che si agita per la sconfitta della propria squadra in trasferta, ma che continua a seguire imperterrito campionati truccati – inizia ad avvertire di essere precipitato in un mondo in cui la fantascienza è stata superata da una realtà mostruosa, tale da rendere 1984, di George Orwell, lettura di intrattenimento per scuole medie inferiori.
Certo, chi fa parte della casta collaborazionista (la categoria più odiosa è quella dei radical chic), vive sempre alla grande – o almeno crede – e ci dirà tutt'ora, citando un articolo di Repubblica, che questo è il migliore dei mondi possibili, il regno della libertà e della democrazia, dove chi non può avere figli avrà persino un utero in affitto (e chissà se chi non può permettersi nemmeno un monolocale, potrà permettersi almeno quello...); con tanto tempo libero a disposizione da impiegare nei viaggi, nello yoga, nella meditazione, nei botox party, in cui ci si inietta un po' di botulino antirughe per apparire eternamente giovani.
Ma sorvoliamo sui rentiers e altri dorati cascami umani assimilabili: essi non pagheranno mai, per il semplice fatto che siamo noi a pagare per loro.
Passiamo alla classe media, o meglio ciò che ne rimane.
Chi – beato lui, perché oggi la schiavitù è una conquista - ha ancora un lavoro, tenta di esorcizzare la realtà con uno scambio di battute davanti alla macchina del caffè dell'ufficio sull'ultimo programma visto in tv; con un tradimento coniugale organizzato via smartphone (di marca, per carità!); oppure rifugiandosi nell'effige del salvatore di turno: Cristo è passato di moda, ora ci sono Grillo, Renzi, o qualunque uomo-immagine fabbricato dal sistema di potere per infinocchiare i diversamente intelligenti. Deluso anche dal movimento cinque stelle, visto l'impoverimento inesorabile, voterà il nascente cinque stalle.
Chi, invece, un lavoro non lo ha più, se ha potuto è emigrato, se non ha potuto, vive a ricasco di qualcuno (“per farsi amare” diceva Flaiano “bisogna farsi mantenere”); oppure è riverso in qualche angolo di strada da dove la visione della realtà non è offuscata dalle luci della televisione e dove “la durezza del vivere” che predica Monti (naturalmente per gli altri), gliene ha tolta anche la voglia.
Tuttavia, persino chi la propaganda, scientemente fin dai banchi di scuola, ha annichilito nelle proprie capacità di essere razionale – sempre che tra i bipedi a stazione eretta tali facoltà esistano (come qualcuno ha scritto, la migliore prova che esista vita intelligente nell'universo è che nessuno ha mai cercato di contattarci) – si rende conto che si sta materializzando un vero e proprio incubo e che le spiegazioni ufficiali – della tv, della stampa, dei governi - stridono con l'enormità dei fenomeni in corso: non ultima l'invasione programmata per sostituire gli attuali popoli europei.
Quali sono queste spiegazioni ufficiali?
Be', la corruzione continua a spiegare quasi tutto.
Sono tutti ladri: è per questo che dopo i quaranta cadono i capelli; il resto è dovuto alla cattiveria di Putin. Oltre siffatti “ragionamenti”, adatti alle classi differenziali del secolo scorso, c'è solo la globalizzazione, un altro concetto onnicomprensivo e spacciato per naturale, inevitabile e non storicamente determinato dai poteri dominanti.
Eppure, se esistessero in giro cervelli in grado di articolare un pensiero, ci si sarebbe posta una semplice domanda:
come mai la corruzione c'è sempre stata,
ma prima si stava meglio?
Certuni, anche grazie all'opera divulgativa di sparuti intellettuali, hanno capito che l'euro c'entri qualcosa. Ma quasi nessuno è andato avanti nella spiegazione. Del resto, andare avanti può costare la reputazione, la carriera, la vita: dipende quanto avanti si va e il coraggio – scriveva Manzoni - “uno non se lo può dare”, specialmente in un Paese, citando Longanesi, in cui sulla bandiera nazionale, dovrebbe essere scritto, a caratteri cubitali: “Tengo famiglia”.
E così, ben pochi hanno cominciato ad allargare l'orizzonte dello sguardo: l'italiano soffre di miopia e più di quanto gli è vicino non riesce a vedere.
Qualcuno, timidamente, ha cominciato a tirare in ballo l'Unione Europea, ma come se si trattasse di un'entità indipendente e non di un progetto americano, teso - all'indomani della seconda guerra mondiale - a mantenere in pugno l'Europa occidentale, impedendo di fatto che potenze antagoniste agli Stati Uniti potessero contenderne il dominio e, soprattutto, saldare i propri interessi con quelli russi, come è naturale vista la prossimità geografica.
In particolare, l'intendimento americano è stato – ed è - quello di impedire che la Germania si avvicini alla Russia e che rimanga strettamente legata al carro atlantico.
L'euro è nato anche a tale scopo: favorire l'economia tedesca per dare alla Germania una posizione di predominio in Europa (precisamente di sub-dominio rispetto agli USA), che la distogliesse dalle tentazioni di pericolose liaisons con la Russia. Ed è, ovviamente, una delle principali ragioni per le quali la nefasta unità monetaria non viene smantellata (in questo modo, tra l'altro, lo Zio Sam, quando deve il cattivo in Europa, si traveste da tedesco e gli fa fare il lavoro sporco...).
Una volta per tutte, bisognerebbe far comprendere ai sonnambuli che ci circondano che non esiste “L'Europa”, né mai esisterà: essa è pura mistificazione della propaganda.
Si tratta soltanto di una propaggine
del declinante impero americano.
Purtroppo, è l'inevitabile portato storico di un processo di unificazione eterodiretto da potenze straniere, mistificato dai miti del Risogimento e risoltosi con una annessione del Meridione e nessun serio tentativo di creare una coscienza nazionale, pericolosa perché avrebbe potuto fare del nostro Paese una potenza autonoma e scomoda nell'arena geopolitica internazionale.
È qui, in questa mancanza di una visione storica elementare, che cadono gli illusori movimenti “sovranisti” – del resto praticamente risibili – che vorrebbero attecchire nella penisola.
Come ha scritto Gianfranco La Grassa, viviamo in un periodo che assomiglia agli ultimi decenni dell'ottocento, quando un altro impero, quello inglese, stava inesorabilmente declinando, a fronte dell'emergere di potenze antagoniste, su tutte gli Stati Uniti. E, oggi, sono proprio gli Stati Uniti che tentano di difendere la propria traballante supremazia, trasformando l'Europa in un fortino anti-russo, con una incessante espansione della Nato verso oriente, cercando di resistere, inutilmente, al vento inarrestabile della storia che sta proiettando nuovi attori globali (in primis Russia e Cina) verso il palcoscenico di un mondo multipolare.
Con tanti saluti all'eccezionalismo dello Zio Sam, è giunta l'ora che faccia le valigie e torni al di là dell'Atlantico a mangiare hamburger.
Ma lo Zio Sam non si arrende così facilmente: sta facendo di tutto per ritardare il suo ritiro nell'ospizio della storia e ha messo in opera la strategia del caos.
Il caos, infatti, è scientificamente organizzato ai confini dell'impero, per ostacolare il coagulo di nuove alleanze geopolitiche in funzione anti-americana che potrebbe ulteriormente accelerare la caduta della superpotenza yankee.
Regimi strategicamente importanti sono destabilizzati e rovesciati mediante falsi rivolgimenti spontanei, promossi e finanziati da ONG coordinate dalla CIA (il caso delle varie “primavere”, come dell'Ucraina); oppure manipolando il terrorismo - così come avviene almeno dagli anni settanta, quando la famigerata strategia della tensione insanguinò l'Italia con la messa in scena di opposti estremismi, per dar luogo a una restaurazione autoritaria decisa a Washington.
Secondo questo disegno, attraverso ripetuti attentati terroristici e l'invasione demografica è artatamente creata instabilità sociale nelle colonie europee, al fine di indebolirle e meglio controllarle, rendendo ancora più improbabile che si riorganizzino dal punto di vista geopolitico.
Intanto, la distruzione delle organizzazioni statuali prosegue senza sosta, mediante la cessione della sovranità residua ad organismi sovranazionali centralizzati, non eletti democraticamente e controllati dalla longa manus di Washington.
Avanza, di conserva, la distruzione dell'identità dei popoli e del legame con il proprio territorio (l'incentivo all'emigrazione, o alla “libera circolazione”, come è chiamata nel linguaggio propagandistico, va proprio in questa direzione); e l'annientamento dei popoli stessi, fisicamente sostituiti con immigrati di culture differenti e inassimilabili, in modo da costruire un mosaico multietnico di interessi contrastanti e inconciliabili in nome di un interesse comune, che si riconosca in un territorio e voglia difenderlo.
Il progetto imperiale prevede, infatti,
anonimi territori coloniali, sprovvisti di storia comune e abitati da individui sradicati in perenne conflitto tra loro.
Anche i generi sessuali sono moltiplicati per aumentare divisione e conflittualità e l'omosessualità è salvaguardata e promossa perché – come aveva intuito la Magli ne La dittatura europea - è un modo astuto di sterilizzare la razza bianca (i mussulmani sono refrattari alla propaganda gay).
Dal punto di vista dell'ingegneria sociale, il progetto imperiale prevede la cancellazione della storia e della geografia (ecco la ragione per cui lo studio di quest'ultima è stata abolita dalla riforma Gelmini). Il modello della società globale è costituito da internet (tecnologia nata in ambito militare – Arpanet il suo nome originario - non a caso resa disponibile gratuitamente): una indistinta e virtuale rete mondiale (World Wide Web), abitata da un essere umano de-territorializzato, che esiste appunto in questo non luogo geografico e in un eterno presente, creato mediante la simultaneità degli scambi (tempo e spazio sono dimensioni collegate ed internet annulla l'una e l'altra).
Internet, ad oggi, è stato il più intelligente – direi geniale – cavallo di Troia della globalizzazione.
Geniale anche come strumento di controllo totale, capace addirittura di dare al suo utente controllato l'illusione della libertà e di ottenere spontaneamente, anzi con voluttà, informazioni sensibili che una volta i servizi segreti dovevano sudare sette camice per carpire. Neppure l'istituzione della confessione era arrivata a tanta perfezione. (Se si vuole avere un'idea di che cosa sia questo grande fratello, così amato dai sudditi, che accumula dossier particolareggiati su ognuno di noi e il cui utilizzo è incentivato in ogni modo, si legga Il potere segreto dei matematici, di Stephen Baker).
E prosegue, altresì, il saccheggio e lo sfruttamento economico delle colonie europee.
Le bombe demografiche, con l'arrivo di un esercito di nuovi schiavi, oltre a creare il caos e lo sgretolamento del tessuto sociale, tengono alta la disoccupazione, portando i salari sempre più al ribasso e scatenando una guerra fra poveri.
La pressione demografica e la diminuzione del gettito fiscale, dovuto all'alto numero dei disoccupati e al calo dei salari, generano ulteriori pressioni sulle casse degli Stati perché si privatizzino pensioni e sanità, ormai economicamente insostenibili.
Nell'ottica imperiale, infatti, tutto deve essere privatizzato, naturalmente a esclusivo beneficio dell'impero e dei suoi collaborazionisti e scherani. (In questo delirio acquisitivo dell'homo habens americano si è arrivati addirittura a brevettare le specie biologiche esistenti in natura).
In ultimo, di pubblico non esisterà più nulla e gli Stati esisteranno solo in funzione di esattori delle imposte per conto dell'impero.
La sottomissione di un impero così vasto non si ottiene soltanto con la forza militare e la compiacenza delle élites a libro paga, ma anche con quella dei sudditi. In questo gli americani sono indiscussi maestri, padroneggiando come nessuno le sottili armi della propaganda, di cui Holliwood è stata per molto tempo la punta di diamante.
La colonizzazione culturale ha sempre accompagnato la penetrazione americana – altro tema che i cosiddetti sovranisti nostrani non comprendono – e fa più danni un telefilm americano di un discorso di Renzi a reti unificate.
Questa penetrazione subdola e melliflua, attraverso l'intrattenimento, ha ormai contaminato la nostra cultura fino al linguaggio, infarcito in maniera ossessiva di americanismi e dove si è arrivati al punto che battezzare qualcosa (un programma televisivo, un libro, persino una società a responsabilità limitata) senza un termine inglese, equivale a dequalificarlo come vecchio e deteriore.
Chi ha studiato un po' sa che pensiero e linguaggio sono interrelati e il secondo influenza largamente il primo (v. il determinismo linguistico di Whorf); quindi, parlare con termini americani significa pensare in termini americani.
È per questo che la propaganda è così attenta al linguaggio ed è stato inventato il politicamente corretto: quello che non si può più dire, si finisce per non pensarlo nemmeno più. E quello che si dice, si finisce col pensarlo.
Un popolo che perde la sua lingua, perde la sua identità, perché i termini di una lingua cristallizzano i postulati fondamentali di una filosofia implicita, nei quali è espresso il pensiero di quel popolo e di quella civiltà.
Ci sarebbe da ridere, se non fosse tragico: una volta, in un documento aziendale, ho visto scritto ad Ok, invece che il latino ad hoc.
Nel nostro Paese, culla del Rinascimento, siamo giunti – passando da Machiavelli a Renzi, da Giuseppe Verdi a X Factor, da Storia della mia vita di Casanova a Rocco, ti presento mia moglie di Rocco Siffredi - all'annichilimento culturale: non c'è più un libro che si possa leggere, un film che si possa vedere, neppure una canzonetta ascoltabile.
In questo deserto, ha buon gioco qualunque obbrobrio proveniente da oltreoceano; e quel poco che viene da noi prodotto non ne è che lo scimmiottamento. La nostra cultura qualitativa è stata trasformata in una incultura quantitativa.
L'abbassamento del gusto, l'annientamento di ogni pensiero critico (considerato dal potere una pericolosa recidiva intelligente dell'homo videns), sono perseguiti con determinazione, a partire dalla riforma della scuola: il programma prevede di eliminare l'analfabetismo di ritorno, rafforzando quello di partenza.
Accenniamo, per concludere, all'atmosfera di perenne guerra strisciante in cui siamo costretti a vivere. Una guerra che si gioca su tutti i terreni: culturale, economico, e naturalmente militare. Una guerra che pervade l'aria come un gas asfissiante, che nelle zone di frizione con la Russia (l'Ucraina, la Siria, gli Stati baltici) rischia di deflagrare in scontro aperto, extrema ratio dell'impero americano: scagliare l'attacco profittando della superiorità militare, oppure perire.
No, non ho dubbi: non c'è fantascienza peggiore di questa realtà americanizzata, di questo morente impero che ci tiene prigionieri e ci costringe non più a scappare da New York, bensì dall'intera Europa.
Eppure dovremmo riprenderci il nostro Paese.
Ma la cosa in Italia è impossibile: perché non l'abbiamo mai posseduto e quindi non abbiamo neppure la coscienza che sia nostro; e l'italiano si cura solo della propria conventicola, cui appartiene per nascita o entra per cooptazione. Come scrisse Sant'Agostino: extra ecclesia, nulla salus.
E, infine, perché un paese di servi sa solo immaginarsi un nuovo padrone e per quieto vivere si accontenta di quello che ha.
Lasciamoci con una citazione da La pelle, di Curzio Malaparte, alla quale non si può aggiungere davvero nulla, se non l'amara constatazione che lo spirito di un popolo non cambia mai:
“E più affettuoso onore gli era venuto, nei giorni della liberazione, dal suo rifiuto di far parte del gruppo di signori napoletani prescelti per offrire al Generale Clark le chiavi della città.
Del qual rifiuto si era giustificato senza alterigia, con semplice garbo, dicendo che non era costume della sua famiglia offrir le chiavi della città agli invasori di Napoli, e che egli non faceva se non seguir l'esempio di quel suo antenato, Berardo di Candia, che aveva rifiutato di rendere omaggio al re Carlo VIII di Francia, conquistatore di Napoli, sebbene anche Carlo VIII avesse, ai suoi tempi, fama di liberatore.
«Ma il generale Clark è il nostro liberatore!»
aveva esclamato Sua Eccellenza il Prefetto, che per primo avuto la strana idea di offrire le chiavi della città al Generale Clark.
«Non lo metto in dubbio» aveva risposto con semplicità cortese il Principe di Candia «ma io sono un uomo libero, e soltanto i servi hanno bisogno di essere liberati».
Tutti si aspettavano che il Generale Clark, per umiliare l'orgoglio del Principe di Candia, lo facesse arrestare, com'era usanza nei giorni della liberazione. Ma il Generale Clark lo aveva invitato a pranzo e lo aveva accolto con perfetta cortesia, dicendosi lieto di conoscere un italiano che aveva il senso della dignità.”
Francesco Mazzuoli
Fonte: http://altracalcata-altromondo.blogspot.it/2016/10/fuggire-al-piu-presto-dalla-ue-e-dalla.html
popolo di schiavi,ogniuno ha ilsuo miserabile prezzo,vili servi del denaro.
RispondiElimina