Oggi 15 novembre è la giornata internazionale di solidarietà verso il movimento Indigeno di Nativi Americani, che da mesi protesta contro la costruzione della DAPL (Dakota Access Pipe Line), progetto finanziato da Energy Transfer Partners, del valore di 3.8 miliardi di dollari per il mega oleodotto che porterebbe circa 470 mila barili al giorno attraverso 4 stati, dal North Dakota all’Illinois, passando attraverso vari corsi d’acqua, tra cui il fiume Mississippi, e attraverso i territori riservati alle tribù native americane, minacciando i loro luoghi di preghiera e di sepoltura, oltre che il loro accesso diretto all’acqua.
Una di queste tribù è la tribù Sioux di Standing Rock, che in questi mesi si è opposta pacificamente alla costruzione dell’oleodotto, il cui percorso passerebbe attraverso suolo sacro per i Nativi Americani; ma la protesta non è soltanto per la difesa della loro riserva, che pure è stata storicamente loro attribuita in numerosi trattati nell’800, il che è già ridicolo se si pensa che il territorio era loro in ogni caso, ma anche per preservare il loro approvvigionamento d’acqua, che nella cultura indigena è vita, e che rischia di essere gravemente compromessa dalla DAPL e dalla possibilità che eventuali perdite di petrolio inquinino le falde acquifere anche degli altri stati e delle loro popolazioni.
Le tappe della vicenda sono riassumibili in 3 punti:
Il progetto dell’oleodotto viene proposto nel 2014 dalla Energy Transfer Partners, che indica la fine del 2016 come momento in cui la DAPL sarà operativa. Comincia a formarsi una coalizione di Tribù Indigene e alleati contro la DAPL e viene istituito “The Camp of Sacred Stones”, a Cannon Ball, in Nord Dakota.
Nel luglio del 2016 la situazione si scalda nel momento in cui l’US Army Corps Of Engineers (un’agenzia federale) autorizza il passaggio della DAPL attraverso i fiumi e le riserve d’acqua, attraverso una procedura semplificata chiamata “Nationwide Permit 12”, il quale non fa che produrre autorizzazioni che tagliano al minimo le valutazioni di rischio ed impatto ambientale, oltretutto senza tenere assolutamente conto dei vari Trattati di assegnazione dei territori indiani e neppure di varie leggi ambientali come il “Clean Water Act”.
Oltre a questa procedura se ne è accompagnata un’altra, con cui è stato autorizzato il passaggio della DAPL sotto il lago Oahe, a mezzo miglio dalla riserva di Standing Rock. Inoltre le popolazioni indigene non sono mai state consultate rispetto alle procedure e all’individuazione del percorso, che pure passa sulle loro terre. Conseguentemente la tribù Sioux cita in giudizio l’US Army Corps Of Engineers
(http://i2.cdn.turner.com/cnn/2016/images/08/31/north.dakota.pdf).
Intanto nell’Agosto 2016 la coalizione si sta facendo più forte, e riesce effettivamente a rallentare i lavori di costruzione della DAPL.
A settembre si conseguono due decisioni contrastanti:
infatti un giudice rigetta l’istanza della Tribù di Standing Rock, mentre altri tre enti federali ovvero il Dipartimento degli Interni, il Dipartimento di Giustizia e l’Esercito sono di parere contrario, e chiedono la sospensione della costruzione della DAPL e un ripensamento rispetto al suo percorso.
Nel mentre, le tensioni esplodono e i manifestanti pacifici vengono attaccati da forze private munite di cani. La situazione alla frontiera tra i “Protettori dell’acqua” e la polizia si fa talmente tesa che persino Obama interviene, con una dichiarazione che ha poco di fattuale, annunciando che la sua amministrazione sta pensando di rivalutare il percorso della DAPL e lascia nel limbo una situazione che nonostante lo “stop”, continua ad andare avanti.
I bulldozer continuano a marciare verso il lago Oahe e i protettori dell’acqua ad essere silenziati a colpi di proiettili di gomma, arresti arbitrari e spray al peperoncino, abusi che si sono perpetrati a tal punto che Amensty International e lo stesso Onu hanno iniziato delle indagini sul rispetto dei diritti umani nella vicenda DAPL.
La verità è che i diritti umani degli Indiani d’America (di coloro i cui antenati erano in quelle terre da prima che l’uomo bianco decidesse di averle “scoperte” e di appropriarsene) sono calpestati sistematicamente da più di 200 anni.
Il 15 Novembre in occasione della giornata di sostegno per #StandingRock, possiamo tutti dimostrare che non deve più essere così. Che deve esserci un limite.
Che queste persone sono Protectors, non protesters, protettori quindi, non contestatori. Simboli di una coscienza antica, che noi dovremmo condividere, di tutela e amore per le generazioni future e della Terra, la terra che attualmente gli stanno strappando. Ancora un volta...
Il 15 novembre partecipiamo tutti ad azioni di protesta (qui potete trovare un evento vicino a voi), firmiamo la petizione di Greenpeace per far assumere ad Obama una posizione definitiva sulla DAPL, uniamoci per dimostrare a queste persone che questa è una lotta giusta e che non li lasceremo soli.
Elisa Boni - Cosa Vostra
Fonte: http://www.cosavostra.it/index.php/9-ambiente/162-dakota-access-pipeline-un-nuovo-genocidio-per-gli-indiani-d-america
Da piccolo sognavo di sposare una indiana, la sognavo con una nera lunga treccia di capelli, bella come una dea. Sono loro i veri americani, rispettarli sarebbe i minimo.
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