Di Giorgio Borra Lantelme:
"Io me la ricordo la felicità, era fatta di operai che andavano al mare quel giorno di agosto, tutti. Con le macchine senza aria condizionata, con i portapacchi piene di valigie e le autostrade senza bollini neri.
Erano gli anni dove i pensionati potevamo permettersi la giusta ricompensa dopo una vita di sacrifici, erano gli anni delle spiagge con i tavolini e le paste al forno, e quei contenitori frigo, più forniti dei supermercati.
La felicità, con quelle sedie pieghevoli e quei caffè nei termos a fine pranzo, le foto con i rullini, i discorsi tutti insieme a fine pranzo, i bambini che facevano i bambini.
Le città deserte, per il pane dovevi andare alla stazione centrale perché tutti sapevano che lì c’era un supermercato sempre aperto. Invece oggi il 15 agosto i centri commerciali sono sempre aperti, le città sempre più popolate, i pensionati li vedi lì, sotto qualche albero per un po’ di fresco.
Ci facciamo sempre più foto senza il bisogno di andarle a sviluppare, e qui, ci hanno fregato l’attesa, andiamo in spiagge organizzate e devi rispettare i limiti, e qui, ci hanno fregato gli spazi.
Abbiamo voluto di più
ma abbiamo ottenuto di meno.
Abbiamo ottenuto un smartphone per parlare con il mondo, e qui, ci hanno fregato la voglia di stare insieme. Io me la ricordo la felicità, rimaneva a te, sulla pelle, e non aveva nessuna password........"
La felicità la attendevi a lungo, con una foto da sviluppare, una telefonata presso il telefono pubblico, una busta da spedire e una da ricevere. Ma alla fine la facevi anche durare a lungo la felicità, come quella canzone dei pooh, quella poesia di Prevert, e quell'altra canzone di Baglione. Come il Natale, la Pasquetta, la frutta di stagione. Era tutto più assaporabile, più dilatato, più lento, ma non è la lentezza che ha infinite variazioni?
RispondiEliminaIo me la ricordo, la felicità, come qualcosa che avevo davanti. Semplicemente una speranza che viveva nell'entusiasmo mai adombrato dal dubbio che potessi non farcela. Non sapevo nemmeno io esattamente di quale o quali speranze si trattasse. Tutte forse, ma non le inquadravo, non me le prefiguravo, non era importante: esistevano, era la gioia di averle. Tante speranze, nessuna negata, tutto un futuro.
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