di Giuseppe Gorlani:
Nei tempi passati il vegetarianesimo veniva praticato esclusivamente dagli asceti, da certi monaci e studiosi o prescritto come terapia. Oggi, tuttavia, la situazione sociale è cambiata: il polo da cui si dipana e intorno a cui si raccoglie il vivere è il dio Denaro, non il Sacro, e l'uomo che non abbia perso l'aspirazione al Vero --laico o religioso che sia-- è chiamato ad un maggior impegno.
Il vegetarianesimo va dunque rivisto: esso non è solo da considerarsi alla stregua di un valido strumento di purificazione, ma anche come una possibile testimonianza di umile comunione con la vita e di emacipazione dal plagio del "Signore degli Inganni".
Persino Shri Ramana Maharshi, il grande saggio dell'India moderna, riconosciuto dall'Hinduismo tradizionale e notoriamente poco incline ai facili sentimentalismi, scrisse in Chi sono io?, una delle sue rare opere: «Di tutte le regole restrittive quella che concerne l'assunzione di cibo sattvico [equilibrato n.d.r.] in quantità moderate è la migliore. Osservando questa norma si aumenta la qualità sattvica della mente, e ciò è di aiuto nella ricerca del Sé».
Il cibo sattvico (cereali, verdure, frutta, latte) è il cibo che, nutrendo senza eccitare, favorisce lo spontaneo manifestarsi dell'Intelligenza del Cuore; il cibo rajasico alimenta le passioni e l'attività; il cibo tamasico nutre l'inerzia, l'indifferenza, la crudeltà.
In questi momenti di particolare confusione e disordine, ci si chiede come mai in alcuni uomini sorga spontaneo il rifiuto di aberrazioni quali la miseria del Terzo Mondo, la vivisezione, l'ecatombe industrializzata di milioni di animali, il commercio di organi umani che si trincera dietro alibi di ipocrita umanitarismo, la fecondazione in vitro, l'aborto generalizzato, la clonazione, ecc., e come mai, invece, per molti altri tutto ciò sia normale o, tutt'al più, espressione d'un male trascurabile e necessario.
A tal proposito, per esemplificare l'atteggiamento che l'ipocrisia assume nei confronti del male, non si può non ricordare la teoria del «Destino Manifesto» che i politici di Washington, nel secolo scorso, inventarono per giustificare il genocidio dei popoli Pellerossa.
Essi, sentendosi portatori di una civiltà numericamente e pragmaticamente superiore, ritenevano che gli Europei e i loro discendenti fossero «chiamati dal destino a governare tutta l'America»
C'è un nesso, sembra, tra il cibarsi di carne prodotta innaturalmente, satura di dolore, la miopia di chi considera la caccia moderna uno sport nobile ed "ecologico", il fruire della svariata gamma di beni superflui e spesso nocivi che la società "progredita" offre, e la violenza e l'irriflessiva mancanza di saggezza che conducono all'ingiustizia, allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e infine alla guerra: ultimo stadio di un male che inizia nella disarmonia dei piccoli gesti quotidiani.
Nella tradizione Sikh v'è un episodio che illustra in modo significativo come l'occhio dell'Intelligenza del Cuore sappia vedere connessioni e implicazioni precluse all'occhio profano, tutto volto all'utile e al sensibile.
Si narra che Baba Nanak --il Sat Guru fondatore della fede Sikh--, giunto all'antica città di Saidabad, preferì l'umile accoglienza del falegname Bhai Lalu all'ospitalità sfarzosa del governatore Malik Bhago; questi, dopo aver inoltrato reiterati inviti, spazientito ed offeso, decise di andare di persona ad invitare il Saggio e ad interrogarlo circa il suo irrazionale comportamento.
Ma, nonostante ciò, Baba Nanak rimase fermo nel suo rifiuto e, affinché se ne comprendesse il motivo, chiese che gli venisse contemporaneamente portato un po' di cibo del governatore e del suo amico falegname.
Con una mano prese la carne di Malik Bhago e con l'altra un pezzo di pane di Bhai Lalu, poi strinse: dalla prima scese sangue, dalla seconda latte.
Con voce soave, il Sat Guru disse: «Ora sapete perché non potevo mangiare il cibo del governatore: in esso c'è il sangue dei poveri e lo sprezzo per la creazione, mentre è dal lavoro umile e onesto di chi ama la vita e il Creatore, che sgorga il nutriente latte della devozione»
Dovremmo tutti chiederci, di fronte al nostro cibo quotidiano, quale liquido ne spremerebbero le sante mani di Guru Baba Nanak:
sangue o latte?
il che implica che noi non potremo mai essere in pace se non includeremo in ogni nostro gesto o pensiero le diverse decine di migliaia (o forse milioni) di bambini, uomini e donne che ogni giorno, nel mondo, muoiono di fame, di aborto, di sevizie o per torture, incidenti stradali (sacrifici al dio Macchina), inquinamento, etc.
L'uomo delle ricche città d'Europa e degli Stati Uniti dovrebbe sapere che per produrre la carne di cui egli si ciba vengono disboscati migliaia di ettari di foreste (fonti preziose di sostentamento per gli indigeni e di ossigeno per l'atmosfera) da adibire a culture foraggifere.
Chi indossa una costosa pelliccia dovrebbe informarsi su quali atroci sofferenze debbono subire gli animali affinché egli possa soddisfare le proprie egoistiche e superflue esigenze di benessere.
I beneficiari di trapianti è necessario che sappiano come un organo vitale, per essere utilizzabile, debba essere strappato ad un uomo "vivo", il quale viene dunque torturato ed ucciso proprio nel momento in cui andrebbe maggiormente rispettato.
Occorre infine rammentare che in soli due casi all'uomo è consentito uccidere: per legittima difesa o necessità di sopravvivenza e per assolvere al proprio dharma, come nel caso dello kshatriya Arjuna nella Bhagavad-gita.
La carne di oggi non è la stessa di cui si cibava, considerandola sacra, l'Indiano d'America, per il quale la caccia era un'attività sacrificale e necessaria, e nemmeno può essere considerata la stessa di cui si cibavano parcamente le nostre popolazioni contadine di cinquant'anni fa; essa è, per lo più, il cibo del piacere e dell'incoscienza di un Occidente spiritualmente decaduto, ricco e indifferente, che si finge cieco di fronte all'orrore dell'evidenza di un'abbondanza fondata sulla miseria di due terzi del mondo.
Purtroppo una deviata tradizione antropocentrica --contrapposta all'autentica Tradizione teocentrica-- ci ha abituati a fraintendere il nostro retaggio di custodi della vita, e così, invece di soccorrere i più deboli e di favorire la giustizia, abbiamo finito col trasformarci in despoti. Di certo assai più saggio è l'atteggiamento di chi, dal punto di vista relativo dell'individualità, si considera una molecola in un organismo, o una creatura attenta a rispettare le leggi del Creatore, e dal punto di vista esoterico, dell'Essenza, sa di non essere estraneo all'Assoluto
D'altra parte bisogna considerare che, paradossalmente, chi si proclama non violento è spesso, in buona o cattiva fede, più violento di chi lo è manifestamente. C'è infatti un fanatismo del vegetarianesimo che può essere tanto deleterio quanto il fanatismo di chi antepone la consuetudine e il piacere di mangiare carne a qualsiasi considerazione. E c'è una retorica del bene che è forse peggiore del male dichiarato.
È inoltre del tutto inaccettabile il sentimentalismo irrazionale di molti vegetariani che assolutizzano la non-violenza perché, essendosi esclusivamente identificati con gli involucri corporeo e psichico, temono di morire.
Essi confondono la violenza con l'uso legittimo della forza, e dimenticano che basta andare nel proprio orto a vangare per sterminare migliaia di esseri viventi. Vita e morte sono dunque due facce della stessa medaglia (la Manifestazione o Creazione) che non sta nelle nostre mani; ma riguardo all'uccidere bisogna attenersi all'indispensabile.
Fonte e articolo completo: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=446
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