Il principio di base del governo indiano
era sempre stato il rifiuto del governo stesso.
La libertà dell’individuo era considerata praticamente da tutti gli indiani a nord del Messico come una regola infinitamente più preziosa del dovere dello stesso individuo verso la sua comunità o la sua nazione. Il fenomeno di singoli individui, o piccoli gruppi, che abbandonavano la tribù di origine per unirsi ad un’altra dello stesso ceppo linguistico era piuttosto comune. La mancanza di un’organizzazione statale portò gli europei a considerare i nativi americani dei selvaggi.
L’uomo indiano non aveva obblighi di lavoro o di tributi verso alcun suo simile: cacciava e lavorava unicamente per soddisfare i bisogni propri e della propria famiglia, e una volta soddisfatti questi, poteva dedicare il suo tempo al riposo, alla danza, ad altre arti.
Il rispetto delle regole veniva assicurato da associazioni di volontari, che erano di due tipi: di polizia e civili. Esse mantenevano l’ordine, anche durante i trasferimenti degli accampamenti, avevano funzione di sorveglianza dei campi, e di far sì che venissero rispettate le regole di caccia e sull’abbattimento degli alberi (cosa che poteva allontanare la selvaggina).
Un bracconiere non veniva privato della libertà, ma gli veniva imposta la consegna delle armi e il sequestro della selvaggina.
Il capo tribù non aveva alcuna autorità sui suoi membri.
Durante la pace era il portavoce della comunità, un buon oratore per parlamentare con gli altri capi, ma la sua parola non aveva “forza di legge”: può persuadere solo con la parola, non ha altri mezzi di coercizione a disposizione. Era anche l’uomo più generoso della tribù, che faceva grandi dono durante le festività e faceva sì che il bottino delle scorrerie venisse spartito in maniera equa.
Durante la guerra (e non è detto che il capo di pace e il capo di guerra coincidessero) rivestiva un ruolo importante, di guida e strategico. Molto spesso era un guerriero abile, in cui gli altri guerrieri avevano fiducia: si creava così una sorta di obbedienza naturale.
E se il capo cercava di spingere la tribù in guerra solo per sua gloria personale, i guerrieri lo abbandonavano rifiutando di seguirlo. Era il capo ad essere al servizio della tribù, e non viceversa.
Le decisioni più importanti della tribù (guerra, pace, caccia) erano prese da un “consiglio”, il più delle volte formato dagli anziani, dal capo e a volte anche dai membri delle associazioni. Per ogni decisione era necessaria l’unanimità, ma nessuna decisione poteva mai attentare alla libertà individuale di un consociato. I conflitti personali si regolavano attraverso la mediazione del capo o di un familiare. I membri del consiglio, come i capi, erano scelti da tutti gli adulti della comunità.
La guerra aveva due funzioni: da una parte un significato rituale, necessario alla stabilità del gruppo, dall’altra impediva la formazione di vaste comunità, e quindi l’emergere stesso di entità politiche superiori all’individuo (statali, dunque).
Lo stato di guerra era dunque permanente nella società indiana, ma non aveva come obiettivi ingrandimenti territoriali o conquiste di risorse naturali. Era connaturata al sentimento religioso – di qui il dipingersi il corpo, i canti di guerra – e nessuno era obbligato a parteciparvi.
I giovani la vedevano come opportunità per ottenere prestigio.
Per provare la sua bravura il guerriero indiano non doveva per forza uccidere il suo avversario, ma gli bastava vincere una prova assegnatagli dalla tribù: sciogliere e portar via un cavallo dal campo, appropriarsi dell’arco di un nemico in un corpo a corpo, colpire l’avversario con la mano (presso i Crow), rubare un fucile o la pipa da cerimonia (presso i Piedi Neri).
Erano guerre lampo, la maggior parte delle volte, cui non facevano seguito prerogative di una tribù su un’altra o massacri della tribù sconfitta. Fra le diverse tribù si stringevano spesso delle alleanze, che quando diventavano durature si trasformavano in leghe. Queste leghe avevano competenza però solo per gli affari di guerra, non ledendo in alcun modo la “sovranità” delle singole tribù.
Questa visione “anarchica” era presente in tutti i comportamenti, a partire dall’unità sociale più piccola, la famiglia.
L’idea di padre-padrone
sul continente americano fu portata dagli europei.
Le loro dimostrazioni di caparbietà erano sempre accolte come un’indicazione propizia dello sviluppo di un carattere che stava maturando.
Riguardo le donne, la credenza che si diffuse tra i bianchi che uno sposo “comprasse” la moglie era falsa.
Non si trattava dell’acquisto di una persona, bensì di un “risarcimento” da parte del giovane alla famiglia della ragazza, alla quale toglieva una parte importante della forza-lavoro: le donne della tribù, infatti, svolgevano mansioni come cucinare, conciare le pelli, preparare la carne dal conservare per l’inverno, e di organizzare il trasporto delle masserizie durante il trasferimento degli accampamenti.
Nella società indiana vi era una grande libertà sessuale (usavano delle tisane come contraccettivo e non c’era alcun obbligo di castità prematrimoniale) e furono poche le proibizioni sociali che riguardavano le donne. Il divorzio poteva essere ottenuto semplicemente se entrambi i coniugi fossero stati d’accordo.
Quando il capo Oglala Nuvola Rossa fu invitato a Washington DC per negoziare la pace con il Presidente Grant, la sua delegazione comprendeva 16 uomini e 4 donne. Le delegazioni di bianchi impegnate in politica, all’epoca e per molto tempo dopo, erano esclusivamente maschili...
L’omosessualità non era uno scandalo.
Questa testimonianza storica serva di lezione a tutti quelli che, imprigionati dai mezzi di comunicazione di massa, credono erroneamente che l'omosessualità sia una faccenda solo degli ultimi tempi, anche in questo caso dunque, la società "selvaggia" indiana ci da una grande lezione di umanità, ponendo massimo rispetto verso chi scegli di vivere la propria sessualità in modo diverso dalla massa.
Il contatto con la “civiltà”
ruppe l’incantesimo di questa società libera.
Eppure molti europei, all’inizio della colonizzazione, erano estasiati dal modo di vivere libero dei nativi. Provenendo da territori dove le convenzioni statali, sociali e religiose erano opprimenti, videro nella vita con gli indiani un occasione di riscatto.
In molti abbandonavano l’esercito, il villaggio, la nave e la famiglia per unirsi alle tribù. La situazione era così “grave” agli occhi delle autorità del XVII secolo, che il governatore della Virginia stabilì pene severissime per i fuggiaschi. Il missionario Sagard osservò che “i francesi divengono dei selvaggi non appena cominciano a vivere a contatto con i selvaggi”.
Questa fuga di massa dei bianchi dal gregge civilizzato da cui provenivano si rinnovò all'improvviso negli anni 60' del secolo scorso, quando giovani europei, stufi delle rigide regole sociali e statali imposte dai governi delle società bianche, decisero di ribellarsi e non a caso imitando proprio gli Indiani, stiamo ovviamente parlando degli Hippie, che uniti bruciarono carte d'identità e passaporti, dormivano in tende e furgoni, mangiavano all'aperto sotto cieli stellati, organizzavano feste che duravano molti giorni e fuggivano le città e la vita industriale segnata dal lavoro, preferendo la povertà controllata, l'ozio ed uno stile di vita molto indiano.
Questa ribellione di massa preoccupò non poco gli apparati di potere occidentali che corsero ai ripari sguinzagliando Tv e giornali per dipingere gli Hippie come dei giovani sbandati, drogati e privi di amore per la patria, giustificarono così repressioni e arresti, trattamenti sanitari obbligatori nelle psichiatrie, tutto questo per riportare le pecore nere al loro gregge originario...
Ma lo spirito indiano che ispirò gli Hippie è ancora presente nell'aria europea ed oggi è vivo più che mai negli ecovillillaggi, nei giovani che fondano comunità autosufficienti e coltivano la terra, in quelli che fuggono dalla vita civile per girare il mondo e stabilirsi proprio in quelle zone considerate "primitive", dove la vita profuma ancora di sana anarchia, che lontana dal termine dispregiativo occidentale che vuole a tutti i costi associarla alla parola "caos", significa piuttosto libertà, quella libertà che gli Indiani d'America ci hanno insegnato, quella stessa libertà che la rigida mente occidentale non ha mai accettato e che tutt'ora continua a punire gli Indiani per quello che ci hanno insegnato.
Riassumendo in sintesi:
- Gli Indiani D'America non avevano uno Stato.
- Le guerre non avevano lo scopo di conquiste e di espansione bensì di evitare che si creasse una singola autorità che dettasse leggi sugli altri individui.
- La libertà dell'individuo era al primo posto e in nessun modo si tentava di porre limitazioni a queste libertà individuali.
- Il lavoro era limitato al procurarsi da mangiare, non esistevano orari da rispettare, sveglie ne ordini da eseguire, ognuno era il padrone di se stesso e poteva usare il proprio tempo come gli pareva.
- Le regole venivano fatte rispettare da una sorta di polizia locale che non aveva lo scopo di punire, bensì di educare,
- Il Capo Tribù non esercitava autorità sui membri della propria comunità, ma si limitava invece ad essere una guida saggia in grado di placare gli animi e dare consigli al momento opportuno, niente tiranni, niente dittatori nelle società indiane!
- Tutte le decisioni importanti riguardo il futuro delle comunità venivano prese attraverso dei consigli locali, discutendone con TUTTI.
- Non esistevano padri-padroni, la famiglia era ugualitaria e la donna valeva quanto l'uomo, nessuno dunque esercitava autorità sui propri figli o le proprie mogli.
- Il sesso era libero, non c'era monogamia e per evitare gravidanze indesiderate gli sciamani davano alle giovani donne tisane a base di erbe in grado di fungere da contraccettivo.
- Le donne non venivano vendute come i nostri antenati bianchi hanno voluto farci credere, bensì il maschio usava dare un riconoscimento economico ai genitori della donna con la quale voleva andare a vivere, in quanto la mancanza della figlia significava perdita di forza-lavoro famigliare.
- L'omosessualità non era uno scandalo, i "diversi" venivano rispettati da tutti i membri della tribù.
Gli Indiani erano in sostanza un popolo anarchico, libero e felice, i colonizzatori bianchi che provenivano da un sistema già marcio allora, non sopportarono tale accecante visione di vita e da brava oppressi cercarono in tutti i modi di distruggerli non solo materialmente e fisicamente, ma anche spiritualmente, quest'ultimo tentativo, nonostante i lunghi secoli di sterminio ed oppressione, non gli è mai riuscito, in quanto gli Indiani conservano tutt'ora un forte legame spirituale con al Terra ed il proprio popolo, la lotta contro l'oleodotto a Starting Rock di questi mesi ne è il chiaro esempio!
Fonte: http://libertarianation.org/2013/01/23/la-societa-senza-stato-degli-indiani-damerica/ + aggiunte di pensiero di Daniele Reale.
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D'ACCORDISSIMO SULLO SPIRITO MERAVIGLIOSO DEI POPOLI INDIANI,HO VISSUTO GLI ANNI '60 IN EUROPA DA HIPPIE , UN PERIODO FANTASTICO...! VERO, DI COME IL "POTERE OSCURO"HA DISTRUTTO TUTTO,AVEVANO PAURA!!!! , E MOLTE COSE SONO STATE EQUIVOCATE ,VOLUTAMENTE!!! SONO UN 'SOPRAVVISUTO' ALLO STERMINIO, CULTURALE E FISICO, MA ORMAI E' STATO DIMENTICATO..MA IL MIO SPIRITO CONTINUA A VOLARE ALTO NEL CIELO !! CIAO. ROBERT
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