mercoledì 29 giugno 2016

La verità sugli zingari, un popolo libertario che non si piega al Sistema




La verità sugli zingari, 
un popolo libertario che non si piega al Sistema


“È tempo di nomadismo. Hanno ragione gli zingari, un popolo che potrebbe veramente scrivere un capitolo importante della storia dell’uomo. 



Vivono su questo pianeta da migliaia di anni senza nazione, né esercito, né proprietà. 


Custodiscono una tradizione che rappresenta la cultura più vera e la più semplice dell’uomo, quella più vicina alle leggi della Natura. Può sembrare una visione parziale o romantica? Cerco solo di farne una lettura meno superficiale di quanto normalmente ci fa comodo.

Gli zingari vanno verso l’abolizione del denaro, adottano lo scambio come nelle società primitive.”  

Fabrizio De Andrè


Noto spesso una vastissima disinformazione ed un’estesa varietà di pregiudizi negativi, non che mistificazioni banali, riguardanti le comunità Rom, ed è per questo che nel seguente articolo cercherò di delineare in modo chiaro la cultura Rom basandomi sulle ricerche etnografiche dell’antropologo italiano Leonardo Piasere.

Leonardo Piasere come già accennato è un antropologo italiano e il massimo esperto e conoscitore della cultura e delle comunità Rom in Italia. 


Il termine “zingari” con cui l’opinione pubblica, i media e in parte le istituzioni definiscono le comunità Rom è appunto un termine affibbiato loro dall’esterno e intriso di connotazioni negative; è per questo che i Rom rigettano questa espressione e utilizzano la locuzione “Gagè” per indicare tutti i non Rom. 



Il mondo dei Rom e quello dei Gagè sono nettamente contrapposti, se non addirittura in antitesi, anche se costantemente in contatto, poichè le comunità Rom si stanziano in quei luoghi e spazi abbandonati o lasciati liberi dai Gagè, nelle cosi dette “terre di nessuno” adottando pratiche di resistenza e adattamento nei confronti del mondo dei non Rom, più vasto e solido.



Un aspetto rilevante della cultura Rom è la totale assenza di classi sociali, così come siamo soliti intenderle nella nostra ottica occidentale, all’interno delle loro comunità; infatti le uniche distinzioni sono basate sul sesso. Concetti come quello di ricchezza e quello di povertà sono situazioni momentanee poichè all’interno delle comunità Rom il modello di distribuzione delle risorse ha un forte carattere egualitario ed infatti nel momento in cui avviene l’accumulazione di ricchezze si cerca di distribuirle in modo eguale tra le varie famiglie e gruppi che compongono la comunità.

La comunità è il fondamento della cultura Rom, perciò si impegnano costantemente nel mantenimento dell’uguaglianza in modo da impedire l’emergere di divisione sociale e stratificazione gerarchica della società, ostacolando consciamente la formazione di veri e propri capi. 


Nonostante questa assenza di capi, all’interno delle comunità Rom esistono dei leaders che basano il loro prestigio semplicemente sulle loro capacità e i loro sforzi, similmente ai Big Men polinesiani e ai capi senza potere presentati da Pierre Clastres. Infatti, come avviene per molti popoli primitivi, anche per quanto riguarda i Rom non è la comunità a conferire potere o autorità al leader, bensì è l’individuo che conquista il prestigio sociale grazie al sudore della sua fronte e per ciò che realmente fa, non avendo difatti nessun mezzo coercitivo per imporre la propria volontà alla comunità intera.

L’importanza conferita dai Rom alla comunità trova la sua espressione principale nel forte senso di solidarietà interna


Infatti come evidenzia Piarese, all’interno della comunità tutti sono pronti ad aiutarsi vicendevolmente nel momento del bisogno. Nonostante una certa rappresentazione romantica e poetica dipinga i Rom come “figli del vento”, sottolineando il loro carattere di individui estremamente liberi, la libertà individuale, seppur presente all’interno della cultura Rom, è subordinata alla comunità e alla coesione interna che, come visto, hanno un ruolo predominante. 

La libertà si esprime nella sua totale accezione fin quando esisterà la fondamentale distinzione tra Rom e Gagè, ovvero tra Rom e non-Rom, perchè questo carattere permette alla cultura Rom di affermarsi rivendicando i propri usi, costumi e tradizioni e rafforzando il senso di solidarietà comunitaria. La loro libertà si realizza nel mantenimento della comunità e della loro cultura.

Uno dei pregiudizi maggiormente diffusi è la credenza del fatto che i Rom non abbiano voglia di lavorare


Leonardo Piarese prova dare una spiegazione a questo pregiudizio sostenendo, ricollegandosi al tema della libertà individuale, che ogni individuo Rom vuole essere padrone del proprio tempo e dell’organizzazione e gestione di quest’ultimo. Perciò il lavoro salariato tipico della società industrializzata e capitalista moderna collide con la cultura e la filosofia economica Rom, venendo considerato dai Rom come una forma di furto della capacità di controllo e gestione del proprio tempo da parte di noi Gagè.

Piarese per studiare la cultura Rom ha adottato il metodo antropologico dell’osservazione partecipante, trascorrendo lunghi periodi di tempo tra le comunità analizzate, imparando a conoscerle e a conoscere il loro mondo dal loro punto di vista, abbracciando il concetto di relativismo culturale che “non propone un generico concetto di tolleranza, ma la necessità di sospendere il pregiudizio, rinunciare all’applicazione a-critica delle proprie categorie e sforzarsi di percorrere la via dell’ascolto e del dialogo”, citando direttamente la ricercatrice e antropologa Angela Biscardi.

Citando nuovamente Fabrizio De Andrè: 

“Io penso che proprio queste persone, questi gruppi di persone, difendendo il loro diritto ad assomigliare a se stessi, difendono soprattutto la loro libertà”.

Fontehttp://anarcoantropologo.altervista.org/cultura-rom-comunita-senza-nazione-senza-esercito-senza-proprieta/

martedì 28 giugno 2016

Si stava meglio quando si stava peggio?



Si stava meglio quando si stava peggio?


Dove sono finiti i giocolieri, i cantastorie e gli artisti? 
Una volta le piazze erano animate dalla loro gradevole presenza, l’aria era impregnata di vita e la gente accorreva ad assistere ai loro spettacoli, alle loro opere e si emozionata, tornando a casa piena di buoni propositi, per il semplice fatto che uno sconosciuto aveva irradiato i loro spiriti di gioia.

Una volta ognuno poteva esprimere il proprio talento, senza tanti permessi, le piazze erano pubbliche davvero, oggi lo sono solo a parole, se non hai il permesso del Comune ti danno dell’abusivo e mandano le autorità a punirti. 


Ti multano per aver manifestato il tuo talento.

Questo è il presente, immagino che futuro di questo passo significherà fontane pubbliche a pagamento, i cessi già lo sono…


Quando parliamo di passato, pensiamo subito a quando si stava peggio, forse per via della mancanza degli apparecchi tecnologici cui oggi non riusciamo a farne a meno, ma è anche vero che la vita nel passato scorreva molto più lentamente e l’ozio faceva parte della quotidianità dell’uomo, tanto quanto lo è la sveglia per l’uomo moderno oggi. 

L’ozio era considerato una virtù sia dagli antichi greci, sia dagli antichi romani, che ben distinguevano i periodi di negotium, l’insieme delle attività dedicate alla cura dei propri affari, dall’otium, dove si praticava il riposo e si dedicava il proprio tempo a ricerche intellettuali e personali.



Solo nel nostro recente passato l’ozio 
è stato demonizzato, diventando sinonimo 
di pigrizia e inattività.


Il contadino per esempio, che con l’avvento dell’era industriale fu dipinto come una figura rozza e ignorante, puzzolente e sempre sporco di terra, in realtà lavorava molto meno di noi uomini colti e puliti oggi.


Certo è vero, nelle classi povere di un tempo si riscontrava tanta ignoranza e troppo poca cultura, ma una cosa è certa, negli uomini di campagna di allora c’era ancora tanta umiltà, tanta bontà d’animo, caratteri forti e sani principi.

La vita contadina era fatta si di grandi lavorate, ma anche di dolci momenti di svago, dove si organizzavano feste, sagre ed eventi in grandi quantità, dove si ballava e si cantava fino al mattino. 



La sera poi, gli abitanti dei piccoli villaggi si radunavano solitamente all’interno di una grande stalla, dove avvolti dal calore delle vacche e della paglia, i contadini narravano storie, discutevano, incontravano i propri amori, mangiavano e si ubriacavano. 

Nel passato il lavoro era lavoro e le feste erano feste, e non banali pause per ricaricare le energie spese durante la settimana, nel passato lavorare la domenica era tassativamente vietato , grazie anche alla superstizione religiosa che considerava un vero e proprio peccato lavorare durante i giorni festivi.



Credo che tutte quelle persone, oggi costrette al lavoro forzato nei giorni festivi, rinchiuse dalla mattina fino alla sera all’interno di negozi e supermercati, sotto la costante minaccia di licenziamento nel caso volessero opporsi alle regole di sfruttamento padronale, tornerebbero volentieri alle vecchie superstizioni, pur di godersi il santo riposo del fine settimana.



Tornando indietro di alcuni secoli, scopriamo che i contadini medievali lavoravano molto meno di noi uomini moderni, difatti, quando si celebrava un matrimonio, le nozze, un battesimo, o una delle tante feste religiose, allora presenti, queste significavano per i popoli lunghi giorni di svago, dove ci si asteneva tassativamente dal lavoro, se ne deduce dunque, che il lavoro nel passato non era il pilastro portante della vita, ma solo un mezzo di sostentamento.
L’assenza di corrente elettrica poi, a illuminare strade, case e città, faceva si che il tempo del dovere fosse limitato a sei/otto mesi l’anno, in poche parole il tempo tra la semina e il raccolto nei campi. 


Lavorare durante la notte allora avrebbe significato un inutile spreco di candele, con il serio rischio di incendiare involontariamente alloggi e abitazioni, che al tempo erano costruiti in gran parte di legno, e non era la sveglia a segnare il passo delle loro vite, bensì il Sole. 

La vita contadina medievale, infatti, iniziava con il sorgere del sole e terminava con il suo calare all’orizzonte, non c’erano orari da rispettare né cartellini da timbrare, ogni pasto era seguito da una dolce pennichella, che variava dai dieci minuti, fino a un’ora. L’importanza del riposo dopo-pasto, mirava ad aiutare il proprio stomaco a digerire correttamente il cibo assunto, evitando in questo modo la classica fiacchezza avvertita dal lavoratore moderno dopo pranzo. 




Il lavoro andava svolto quando il tempo lo permetteva, si deduce quindi che i lunghi inverni, dove la luce solare durava solo poche ore al giorno, fossero dedicati all’ozio e al tempo libero, tempo che gli abitanti delle campagne dedicava soprattutto alla creatività, scolpendo il legno, dipingendo, suonando e creando giocattoli per i più piccoli.

Le donne anziane pelavano fagioli con i propri nipotini, preparavano loro dolci deliziosi e tessevano a mano maglioni di lana, c’era amore nel loro modo di fare e a ogni cosa veniva dato molto valore. 


Le sedie per esempio, duravano una vita, perché si sapeva quanta fatica e quanto tempo era costato farle. 

Il cibo non era sempre disponile, c’erano i cosiddetti “periodi di magra”, dove bisognava misurare le singole razioni per avere ancora cibo sufficiente nei giorni a venire, lo spreco non era tollerato.



Che cosa resta oggi di quello stile di vita? 


Il progresso ha distrutto rapidamente l’artigianato e noi uomini moderni abbiamo fatto sparire lo spirito che animava quei modi di fare, abbiamo preferito le marmellate industriali a quelle fatte in casa e le sedie di plastica a quelle in legno, le nonne d’oggi non cucinano più dolci per i loro nipoti, né tessono loro più nulla, perché i giovani d’oggi non indosserebbero mai qualcosa che non abbia stampato sopra una marca famosa, le nonne e i nonni d’oggi non hanno nemmeno più la libertà di morire a casa loro, perché vengono consegnati in fretta e furia a qualche casa di riposo, per non risultare d’impiccio ai propri figli, troppo impegnati a stare in groppa alle loro vite frenetiche. 


I nonni d’oggi muoiono spesso soli e abbandonati a se stessi, peggio andrà ai nonni del futuro, cioè noi, che molto probabilmente ci ritroveremo ancora chiusi in fabbrica all’età di settant’anni, in attesa di ricevere la tanto attesa pensione, allora non ci saranno più i nonni sorridenti e premurosi, tanto cari alle pubblicità, che impastano e sfornano dolci per nipoti e figli, ma solo vecchi esausti, ansiosi di passare a miglior vita. 



E’ questo che vogliamo 
per noi e per i bambini del futuro?


Il lavoro nella vita contadina fondamentalmente era collettivo, nel senso che le case si costruivano in famiglia o tra amici e conoscenti, allora non serviva spendere fior di quattrini per geometri, architetti, idraulici, elettricisti, muratori e ingegneri, bastava solo un po’ di buona volontà.






Oggi grazie alle infinite leggi che vengono sfornate ogni giorno, tutto questo non è più possibile, tutto dev’essere ufficializzato su carta, tutto dev’essere vincolato da mutui, ogni muro esige di essere “autorizzato” e certificato da terzi.  



Nel tempo si è voluto distruggere e vietare l’arte di arrangiarsi, facendo perdere anche quello che era lo spirito di gruppo che faceva del lavoro faticoso un piacevole passatempo tra amici, come raccogliere il fieno, le patate, falciare il grano o lavare i panni al fiume.


Gli uomini di un tempo erano dei veri e propri “tuttofare”, aggiustavano da se il lavandino quando gocciolava, si pulivano il camino quando era intasato, carburavano le loro automobili quando non funzionavano, collegavano cavi elettrici, sistemavano le tegole del tetto quando tirava vento, e tutto questo senza tanti diplomi e corsi di specializzazione! 

Ognuno di voi sicuramente avrà in famiglia uno di questi preziosi uomini tuttofare, ormai in via d’estinzione, teneteli da conto.

Quello che voglio dire, è che il contadino di un tempo si lavorava tante ore, ma lo faceva secondo i propri ritmi e i propri orari, senza dover giustificare i propri giorni di malattia a qualcun altro, in poche parole era il solo ed unico padrone del suo tempo.



Poi che successe? 


Successe che i capitalisti avevano bisogno di sempre più forza lavoro per aumentare i loro profitti nelle industrie e allora diffusero l’idea che lavorare in fabbrica era molto più civile e bello che faticare nei campi sotto il sole, per far questo si servirono soprattutto dei mezzi d’informazione, si fa per dire…ovvero di giornali, radio e tv, che promettevano la bella vita a chi abbandonasse le campagne per andare a vivere in città, dove tutto era a portata di mano e dove si prospettava un futuro di comodità, abbondanza e ricchezza.



Non fossero bastati i capitalisti avidi di denaro, si misero pure gli alleati americani, che ci liberarono da un dittatore per schiavizzarci subito dopo con il loro stile di vita frenetico, i loro malsani cibi industriali, i loro zuccheri raffinati che tanta gioia e tanto denaro hanno portato ai nostri dentisti, il boom economico che ci ha spinti a diventare dei super-consumatori, nonché degli spreconi di prima categoria, e poi i vestiti sempre più scollati e attillati, infine la pornografia.



Tutte cose che non solo ci hanno irrimediabilmente schiavizzato, ma che con il passare del tempo ci hanno resi sempre più perversi e mentalmente instabili, abbiamo così via via abbandonato le nostre tradizioni per lasciar posto al degrado della vita moderna, con le sue perversioni, il suo esibizionismo, la sua violenza, la sua mania di superiorità.



L’illusione della comodità nelle città, di fare la fortuna accettando un lavoro con uno stipendio fisso mensile, di essere istruiti nelle scuole di Stato e la possibilità di conoscere tanta gente nuova, bastò a fare abbandonare sempre più velocemente le campagne e la montagna agli uomini, ma soprattutto ai giovani sognatori, che fuggirono in massa verso le città convinti di trovare il Paese dei Balocchi, causando in breve tempo la sovrappopolazione dei centri urbani.



Dall’era industriale in poi, 
il mondo divenne ogni giorno più caotico 
e tuttora continua a esserlo.


Contadini e artigiani presto si accorsero degli errori fatti, ma oramai era troppo tardi per piangersi addosso, moltissimi terreni agricoli sono stati venduti per far posto alle industrie, al cemento, ai grandi magazzini.

Possiamo arrivare alla conclusione che, una persona che lavora in media otto ore al giorno, cinque giorni su sette, cinquanta settimane su cinquantadue l’anno, non può che uscirne totalmente sconfitta, sia fisicamente che moralmente. 

Con questo apparentemente innocuo meccanismo, ma in realtà micidiale per la mente umana, il potere si assicura che i suoi schiavi siano così presi dai loro doveri e dal pensiero di mantenersi, che non avranno certo il tempo per evolversi, diventando consapevoli delle proprie catene.

Daniele Reale

Testo estratto dal mio libro (non ancora pubblicato): 
"Di riposo non è mai morto nessuno"

La lezione della Mela






La lezione della Mela


Prima della lezione, senza che i bambini la vedessero, ho preso una mela e l’ho ripetutamente lasciata cadere a terra. Poi sono entrata in aula con il frutto maltrattato e un altro incolume. Li ho mostrati agli studenti e ho constatato che nessuno di loro trovava delle differenze: entrambi sembravano – almeno esteriormente – perfetti, di colore simile e invitanti.

 
Ho preso la mela che avevo lasciato cadere ripetutamente a terra e l’ho disprezzata di fronte ai bambini, dicendo che pensavo che fosse disgustosa, e li ho invitati a fare altrettanto. Ho detto loro che visto che non mi piaceva, anche loro dovevano trovarla orribile, e manifestare il loro disdegno. Alcuni di loro mi hanno guardato come se fossi pazza, poi hanno cominciato a passarsela dicendo cose del tipo: “Sei una mela puzzolente” oppure “Probabilmente hai dei vermi dentro”.

Subito dopo ci siamo passati l’altra mela, rivolgendole solo complimenti e belle parole: “Sei una mela adorabile” oppure 
“La tua pelle è perfetta”.

Alla fine, dopo aver discusso ancora sulle loro similarità, ho tagliato in due entrambe le mele. Quella che avevamo apprezzato era gustosa, quella disprezzata era rovinata e ammaccata all’interno.

Quando le hanno viste così, è come se una lampadina si fosse accesa sulle teste dei bambini. Hanno subito capito che quello che era successo alla mela disprezzata e ciò che capita a chi è vittima di insulti, molestie e derisione. 

Hanno imparato quali sono le conseguenze di azioni cattive e spregevoli. Quando le persone sono colpite dal bullismo, specialmente i più piccoli, si sentono malissimo dentro e spesso non mostrano o raccontano quello che provano. Se non avessimo tagliato in due la mela, non avremmo capito quanto male si nascondeva al suo interno.

Relax Kids Tamworth

lunedì 27 giugno 2016

La Valle della Luna, una comunità Hippie perseguitata dal potere



La Valle della Luna si trova in una piccola penisola (Capo Testa) nell'estremo nord della Sardegna, ed è conosciuta dagli anni '60 come punto di ritrovo degli hippies.

Il nome di questa valle è dato dalla particolare conformazione geologica del luogo, formato da sette valli divise tra loro da imponenti roccioni di granito.

In questa valle la Natura nel corso dei millenni ha creato delle confortevoli grotte, dove dagli anni 60 si sono stabiliti alcuni Hippie in fuga dalla città e il degrado di una vita frenetica alla perenne rincorsa di denaro e beni materiali, che ancora oggi vivono a stretto contatto con l'ambiente circostante.



Chi è stato almeno una volta sulla Valle della Luna, può affermare di aver provato un grande senso di pace e di serenità, dato soprattutto dall'aversi lasciato alle spalle, almeno per un pò, l'odissea della civiltà dei consumi.

La grande valle appartiene ad un privato dal cuore d'oro, che al posto di recintarla e privatizzarla, come la tradizione schiavista vuole, decise invece di renderla pubblica e accessibile a tutti.


Inutile dire che la Valle della Luna attrae turisti dal tutto il mondo, la maggioranza dei quali ricercano il contatto umano di una comunità aperta e disponibile, impossibile da trovare altrove, dove ogni angolo è stato privatizzato e la gente è di mentalità chiusa.

Da Maggio a Settembre si festeggia la luna piena con dei grandi falò, musica estemporanea e giochi con il fuoco. 
In particolare la luna di Agosto è da non perdere!

Ora gli abitanti della Valle della Luna sono a rischio sfratto, a qualcuno non va bene che esistano delle persone indipendenti che vivano senza reddito e senza fissa dimora, quindi stanno cercando in tutti i modi di "demonizzare" la comunità, accusandola di abuso edilizio, come potete leggere in questo articolo: http://www.olbia.it/olbia-noi-con-salvini-contro-comunita-hippy-cala-grande-olbia-18-06-2016/

Daniele Reale



Articolo di tesorisardi.com:


L’articolo sul quotidiano on-line olbia.it riporta la denuncia di un circolo politico, chiamiamolo proruspa per non fare nomi..

“Da più di quarant’anni, una comunità di figli dei fiori vive nella cosiddetta Valle della Luna, seguendo i dettami della ruvida e maestosa natura circostante; d’estate il gruppo diventa più folto, per via dei numerosi campeggiatori, ma durante il resto dell’anno resiste solo il nocciolo duro della comunità. 


Il circolo denuncia questa situazione, affermando che la comunità impedisca la fruibilità del luogo, e produca un degrado per via del campeggio abusivo; inoltre, continuano i rappresentanti, ci sarebbe un problema di distruzione dell’ambiente e delle grotte naturali, ad opera degli abitanti che le avrebbero trasformate in vere e proprie abitazioni, deturpandole o compiendo abusi edilizi. 

Ogni anno, soprattutto in estate, le forze dell’ordine effettuano sopralluoghi battendo a tappeto tutta la zona, ma secondo il circolo questo non basta..” (olbia.it)

Ma ci siete mai stati alla Valle della Luna?

Così Ilaria Serra che ha visitato personalmente il luogo racconta la sua esperienza protestando contro queste azioni a dir poco ridicole:


"Sono Stata alla valle della luna qualche mese fa, capitata li per caso. Mi hanno accolta come una figlia, offerto il caffe e portata a visitare la zona. Quindi non parlatemi di impedimento alla fruibilità del luogo. Non ho trovato nessuna inciviltà da parte dei residenti.

Mi hanno raccontato cosa fanno durante le loro giornate, del loro amore per la natura, del perché sono arrivati fino a li. sono persone con situazioni alle spalle disperate che hanno trovato finalmente un luogo di pace. tutte le mattine loro puliscono la valle dall'immondizia che i VISITATORI lasciano in terra. 


Per abitudine e inciviltà, lo ammetto, ho buttato una sigaretta in terra e sono stata ripresa. Quindi non venitemi a dire che il problema è il degrado. Mi hanno fatto vedere le loro “case” come dite voi…nient altro che grotte dotate di qualche comfort che sicuramente non è quello della tv, del riscaldamento o della cucina che avete voi. 

Non hanno cambiato ne deturpato ciò che la natura gli ha offerto ma bensì ci convivono in armonia e prendono quello che il mare gli porta per fare un posacenere o quello che il vento gli porta per fare una statuetta. 

Quindi non parlatemi nemmeno di abuso edilizio. 



Avete mai parlato con un abitante della valle della luna? 
Gli avete mai guardato negli occhi? gli avete mai chiesto di raccontarvi la loro storia? o vi siete fermati solamente a guardare i suoi capelli e i suo vestiti mentre scendeva a piedi in paese per fare la spesa e passava di fronte al bar dove voi uomini con risvoltini e donne con le unghie laccate stavate sorseggiando uno spritz e scorrendo nella home del vostro i-Phone

La verità è che siete dei bigotti, andate tutte le domeniche in chiesa e poi al vostro vicino gli sputate in faccia. Cosa vi brucia? che loro abbiano trovato la felicità? Se volete cacciarli via almeno cercate delle scuse migliori.


IO STO CON GLI ABITANTI 
DELLA VALLE DELLA LUNA.

Per favore aiutatemi a divulgare questo messaggio. Condividete e chiedete di condividere in modo che chi non sa sappia…e chi non capisce capisca. Grazie. (Ilaria Serra)


Fontehttp://www.tesorisardi.com/conoscete-la-valle-della-luna-e-quello-di-assurdo-che-sta-succedendo/

venerdì 24 giugno 2016

Cos'è il Falung Gong e perché si tortura e uccide chi lo pratica?




Dal 1999 è in atto la persecuzione 
dei praticanti della disciplina spirituale "Falung Gong" in Cina



Articolo di Davide Giannotti:


Il 20 luglio del 1999 Jiang Zemin ha lanciato in Cina la persecuzione contro il Falun Gong, una disciplina spirituale che insegna i principi di Verità, Compassione e Tolleranza. Da 16 anni i praticanti del Falun Gong, o Falun Dafa, rischiano l'arresto, il lavoro forzato, le torture e il prelievo forzato di organi... 

Secondo il Falun Dafa Information Center sono morte 3800 persone, ma il numero reale potrebbe essere molto più grande. Abbiamo raccolto la testimonianza di L.X., una praticante del Falun Gong che ha subito la persecuzione e che è fuggita dalla Cina qualche anno fa. Ora è residente in Italia. 

Come hai conosciuto la pratica del Falun Gong? 

«Nel marzo del 1997 nella mia università. 

Ho visto un poster in cui c’era scritto: 

Nove giorni d’insegnamento della Falun Dafa [diffuso tramite videoregistrazione, ndr]. Ero curiosa di sapere cosa fosse. Poi, con una mia compagna di università, abbiamo partecipato. 



Durante la prima lezione facevo fatica a comprendere, e non sapevo se restare ma avevo la sensazione di aver già visto il Maestro, era molto familiare. Dopo aver ascoltato gli insegnamenti abbiamo fatto gli esercizi seguendo il video, in università c’erano tanti studenti che avevano partecipato. Era una situazione molto piacevole, c’erano praticanti che praticavano da tempo che erano molto amichevoli e ci aiutavano. Ho pensato che il Falun Gong fosse qualcosa di speciale. 

«Con il tempo ho compreso che gli insegnamenti servivano davvero a migliorare una persona. "Guardarsi dentro", è una frase semplice, ma magica, perché ho potuto risolvere tanti problemi e sentirmi leggera come mai, ero più felice». 

E poi cos’è successo?

«Dopo essermi laureata ho iniziato a lavorare. 
Lavoravo tanto quindi non avevo tempo per informarmi. 


Il 20 luglio del 1999 è iniziata la persecuzione e io non lo sapevo. 
Il giorno dopo il mio capo è arrivato da me con un’espressione preoccupata, io gli ho chiesto: “Perché mi guardi così?” E lui mi ha detto: “Adesso il Falun Gong è vietato dal Partito Comunista Cinese (Pcc), non hai letto il giornale?” 

Tutti i miei colleghi sapevano che praticavo il Falun Gong, sapevano che seguivo i principi di Verità, Compassione e Tolleranza, sapevano che un praticante del Falun Gong è buono. Anche il mio capo si fidava molto di me: se c’era un lavoro importante da fare, chiedeva sempre a me. Così lui mi ha detto: “Se il Pcc vuole fare qualcosa contro il Falun Gong, io starò dalla tua parte”

Sentita la notizia, pensavo non fosse vero, perché io sapevo che il Falun Gong è buono. Una mia collega mi ha detto che questa persecuzione sembrava quella fatta ai cristiani tanto tempo fa». 

Dopo l’inizio della persecuzione del Falun Gong, sei stata arrestata? 


«Si, nel dicembre del 1999 sono andata nella città di Guangzhou – ero solita andare lì durante i weekend per vedermi con altri praticanti – ho incontrato altri praticanti al parco per mangiare assieme e condividere i nostri pensieri, e poco dopo è arrivata la polizia e ci ha arrestato con l’accusa di "disturbo all’ordine sociale"». 

Dove sei stata rinchiusa? 

«Sono stata portata nel centro di detenzione Tianhe di Guangzhou». 

C’erano altri praticanti con te? In che condizioni stavate? 


«Sì, se ricordo bene eravamo più o meno 30 nella stanza, di cui otto erano praticanti del Falun Gong. 
Lì dentro mangiavamo, dormivamo e lavoravamo: facevamo dei fiori essiccati e di plastica, destinati all’esportazione. Le mie mani erano spesso sanguinanti per le piccole ferite a causa delle spine. Ogni giorno ricevevamo solo due pasti, con riso bollito nell’acqua con della sabbia, e delle verdure marce lesse, senza sale. 


«Io e alcuni praticanti ci alzavamo presto per praticare gli esercizi, e alcuni sono stati ammanettati e picchiati. Abbiamo fatto lo sciopero della fame per protestare contro la persecuzione. In risposta un ufficiale poliziotto, molto vile, ha condotto l’alimentazione forzata con l’aiuto di alcuni detenuti criminali maschi. Essi tenevano fermi le mani e i piedi di una praticante, hanno aperto la sua bocca con la forza e hanno versato una soluzione  salina satura nella sua gola. In seguito, ho saputo che un praticante maschio, il signor Gao Xianmin fu ucciso in questo modo per soffocamento». 

Quanto tempo sei rimasta lì? Cos’è successo dopo? 

«Sono rimasta nel centro di detenzione Tianhe per 15 giorni.


«Mentre ero in quel centro di detenzione la polizia è andata dal mio capo per chiedergli se aveva le chiavi del mio appartamento. 

Il mio capo gli ha detto di no, così la polizia se ne è andata dicendo che sarebbero tornati.

Una volta uscita la polizia mi ha mandata a lavorare a Shangai per la stessa agenzia.


Poi ti hanno rilasciata? 

«No, dopo un anno mi hanno portata al carcere femminile di Shangai. Anche lì ho lavorato tantissimo: producevo vari tipi di pantaloni, magliette e maglie di lana, ho fatto delle bandierine nazionali del Regno Unito, ho cucito a mano i vestiti tradizionali coreani, le gonnelline per le bambole, lenzuola e copriletto, piccoli cuscini e così via. Tutto questo veniva poi esportato all’estero.

Il profitto di produzione è collegato direttamente al bonus dei poliziotti, per cui i detenuti sono diventati uno strumento per la loro fonte di guadagno. 


«Per i praticanti del Falun Gong, è riservato anche un 'trattamento speciale', cioè la sorveglianza incessante di altri detenuti. Loro scrivevano dei rapporti giornalieri sulla mia situazione e di notte facevano i turni per tenermi sotto controllo, per impedirmi di praticare gli esercizi, per impedire le conversazioni tra me e altri. A causa del fatto che volevo fare gli esercizi, mi hanno picchiata più volte con bastoni elettrici, su tutto il corpo, e il viso era la parte più colpita». 

Hai subito altre torture? 

«Si, dato che non volevo rinunciare alla pratica del Falun Gong, sono stata inviata alla squadra speciale dove ho subito il lavaggio di cervello e l'abuso psicologico. Il loro scopo era di utilizzare ogni possibile mezzo ingannevole per costringere i praticanti del Falun Gong a rinnegare la loro fede. Sono stata rinchiusa in una cella d’isolamento, con 3-4 detenuti come guardia. Questi detenuti sono stati selezionati e istruiti con le teorie di lavaggio del cervello del Pcc. 

«La tattica più usata era quella di punire gli altri, per colpire i praticanti. Per esempio, se un praticante insiste nella sua fede e si rifiuta di 'trasformarsi', allora i poliziotti non lasciano dormire tutti i detenuti della cella, punendoli e costringendoli a stare in piedi e a fare l’esercitazione militare. In questo modo, incitavano all’odio gli altri detenuti contro il praticante. 

«Organizzavano anche vari tipi d'iniziativa per la 'trasformazione'. Ad esempio un corso legale, un corso psicologico e di salute mentale, un concorso di canto, dove veniva permesso di cantare solo le canzoni propagandistiche del Pcc, più varie sessioni di 'critiche' contro il Falun Gong. 

«Questa è stata la cosa peggiore, era terribile. È difficile da spiegare, sembrava che volessero farmi pensare che il nero era bianco, e il bianco era nero». 

Hai altre cose da aggiungere riguardo al sistema persecutorio del Partito? 

«Sì, mi ricordo che nel 2003 tutti i praticanti sono stati radunati per un controllo del sangue, inclusi coloro che erano rinchiusi nelle celle di isolamento. Il campione del nostro sangue veniva numerato e sigillato. Una volta, siamo stati portati in una grande ambulanza, dove siamo stati sottoposti a delle radiografie per controllare i nostri organi interni con una macchina sofisticata. Tutti i praticanti del Falun Gong sono stati sottoposti a questo controllo. Ma gli altri detenuti non sono stati sottoposti. Non sapevamo lo scopo di questo esame. 


«Da quando è stato reso pubblico che il Pcc effettuava il prelievo forzato di organi ai praticanti del Falun Gong, mi sono resa conto della perversità di quell’atto. Ho capito, con terrore e ripugnanza, che il controllo era legato al 'raccogliere organi vivi'

Molti praticanti del Falun Gong, io inclusa, siamo stati minacciati dai poliziotti, che se non “ci trasformavamo”, dovevamo essere mandati in un luogo molto remoto. Adesso capisco che “quel luogo molto remoto” si riferiva al campo di concentramento dei praticanti del Falun Gong, i cui organi sarebbero stati prelevati e venduti!».

Com'era l'ambiente in Cina prima della persecuzione? 
Potevi praticare liberamente? 

«Sì, era molto sereno. Tutti sapevano che i praticanti del Falun Gong sono un gruppo di brave persone. I principi del Falun Gong sono Zhen, Shan, Ren [tradotto in italiano con Verità, Compassione e Tolleranza, ndr]: Zhen significa essere sinceri con sé stessi e gli altri. Se si segue Shan si cerca il bene degli altri e si aiuta il più possibile. Ren significa essere una persona tollerante e di larghe vedute. Se una persona segue questi principi la moralità della società si eleverà. 

«Tutte le mattine si facevano gli esercizi assieme, in piazza o nei parchi e poi ognuno andava al lavoro. Anche il pomeriggio, dopo il lavoro, c’erano molte persone che praticavano. Anche i giornali scrivevano degli articoli che mostravano quanto fosse positivo. 

«Ogni weekend andavo a fare gli esercizi nello stadio di Guangzhou Tianhe. C’erano migliaia di praticanti che facevano gli esercizi tutti assieme. Durante la settimana invece facevo gli esercizi o a casa o nell’area verde della mia agenzia. Anche i miei colleghi a volte facevano gli esercizi con me». 

Come sei riuscita a raggiungere l'Italia?  
Da quanto tempo sei qui? 

«Dopo che sono uscita dal carcere femminile di Shanghai, sono rimasta in città per poco tempo a chiarire la verità ai cinesi. Però avevo notato che la polizia mi seguiva spesso. Così ho deciso di andare via: sono andata a Pechino e ho preso un volo per l’Italia. Ormai vivo qui da sette anni». 

Hai ottenuto lo status di rifugiato? 

«Sì, dopo che ho raccontato la mia storia al Consiglio Italiano per i Rifugiati loro hanno capito la gravità della persecuzione, così mi hanno voluta aiutare. Ho ottenuto lo status nel 2008». 

Da quanti anni non torni più in Cina? Puoi ritornarci? 

«Più o meno da sette anni. No, non posso perché c’è ancora la persecuzione. Penso che sia importante che sempre più persone vengano a sapere e aiutino a fermare tutto questo, soprattutto il prelievo forzato di organi, perché secondo me questa persecuzione non va solo contro i praticanti del Falun Gong ma contro i principi della moralità umana – contro Verità, Compassione e Tolleranza. Spero che finisca il prima possibile».


Fonte: http://epochtimes.it/n2/news/la-persecuzione-del-falun-gong-vissuta-da-un-praticante-cinese-1987.html

Altri articoli per approfondire:  http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2013/10/23/CINA-La-persecuzione-dei-Falun-Gong-l-olocausto-che-non-si-vuol-vedere/432479/