La vera storia dei Pirati:
Anarchici libertari contro Stato e società
I pirati dell’epoca d’oro possono essere definiti anarchici?
Innanzitutto è necessario dare indicazioni sul periodo storico che si è soliti intendere e chiamare “epoca d’oro della pirateria”, ovvero un periodo di tempo che si estende dal 1650 e trova il suo culmine nel 1730.
Ma chi è il pirata, se non principalmente un nemico della sua civiltà?

I pirati sceglievano di vivere in una comunità libera priva di fissa dimora, che trovava nel mare la dimensione perfetta per lo sviluppo dell’autonomia e della libertà, poichè da sempre il mare incarna lo spazio libero per eccellenza, uno spazio sottratto al controllo degli stati-nazione, di cui i pirati si erano dichiarati radicalmente nemici.
Possiamo definire le comunità pirata
“società senza Stato”?
Certamente e, rifacendoci all’analisi dell’antropologo libertario Pierre Clastres, possiamo sostenere che, come per molte comunità primitive e selvagge, i pirati sceglievano consapevolmente di privarsi dell’entità statale e di evitare che essa potesse emergere creando divisioni e diseguaglianze all’interno del corpo sociale.
Perciò, così come le società primitive amerindiane studiate da Clastres, le comunità pirata erano, non solo, prive di Stato, bensì contro di esso.
Anche per questo alcuni hanno definito la società pirata “l’istituzione più democratica
del diciassettesimo secolo”.
Lo storico Marcus Rediker ha individuato tre caratteristiche principali che stavano alla base dell’organizzazione sociale egualitaria e democratica delle comunità pirata.
Innanzitutto lui individua come valore fondamentale il collettivismo, ovvero una coesione collettiva emersa in forte opposizione al capitale e creata in aperta opposizione alla logica capitalistica della cooperazione fondata sul raggiungimento del profitto. Inoltre questo collettivismo era un arma di autodifesa nei confronti dell’autorità e dall’oppressione esterna.
Infine come ultimo carattere fondante la comunità pirata Rediker sottolinea il marcato egualitarismo che si traduceva in enfasi per la cooperazione, la reciprocità, per la generosità rispetto all’accumulazione e alla mutualità, tutte pratiche che non solo impedivano l’emergere di gerarchie a bordo della nave, ma servivano a scongiurare la diseguaglianza economica e sociale che sarebbe stata un forza disgregante per il corpo sociale pirata.
Per concludere, riprendiamo la domanda iniziale con cui si è aperta questa analisi delle comunità pirata, e proviamo a darne una risposta:
I pirati dell’epoca d’oro
erano davvero anarchici?
Dopo tutto l’ “utopia” pirata di creare spazi e comunità egualitari, libertari e democratici, privi e contrari ad ogni forma di autoritarismo, cosa sarebbe se non, citando Chris Land, “un esperimento di organizzazione democratica in forme radicali e anarchiche che era esplicitamente contrapposto ai sistemi autoritari convenzionali dell’epoca”?
Fonte: http://anarcoantropologo.altervista.org/i-nemici-di-ogni-nazione-pirati-ed-anarchia/
Non avevo mai pensato ai pirati in questa veste.
RispondiEliminaProbabilmente, visti i livelli di schiavitù che abbiamo raggiunto oggi, sarebbe stato meglio sposare la causa dei pirati e vivere in maniera più sobria, lontano dalla società e dal lavoro alienante... Ma ormai purtroppo tutto ciò è diventato la normalità.
Buona giornata e complimenti per l'interessante articolo.